Dopo il doppio omicidio di ieri, Padre Maurizio scrive al presunto omicida

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Ti chiami Antonio. Hai 53 anni. Non sei un camorrista, ma un operaio.

Ieri, sabato 15 giugno, nel primo pomeriggio, hai fatto una strage.

Hai stroncato – vigliaccamente – due giovani vite. E con loro hai spaccato il cuore a migliaia di persone. Comprese quelle cui hai sempre detto di volere bene.

Da ieri hai perso tutto, la libertà, la pace, la serenità, il calore della famiglia, la stima degli amici. Pazzo! Che hai combinato? Stanotte non ho dormito. E non credo di essere stato il solo. A rimanere con gli occhi spalancati, siamo stati in tanti. Tantissimi. Non conoscevo i fratelli Marco e Claudio Marrandino.

Non conosco te. So solo che, come me, foste chiamati dal buon Dio a godere del dono immenso della vita. Chi eri tu, Antonio, per arrogarti il diritto di spegnere quelle due magnifiche esistenze? Chi eri tu per calpestare quei giovani cuori? Maledetta violenza. Maledetta prepotenza. Maledette armi, stupide e assassine. Maledetta sete di vendetta che acceca gli occhi, spegne la mente, azzera la ragione. E adesso? Che hai risolto? Stai meglio con te stesso? Hai trascinato nel baratro un popolo intero.

L’odio ti ha mangiato il cuore. Lo so, ne sono certo, adesso vorresti solo riportare le lancette dell’orologio indietro. A sabato 15 giugno 2024, ora di pranzo. Per prendere con te i tuoi cari e andare con loro a mangiare una pizza. Per passeggiare, con la tua signora, a piedi nudi su quel lembo di spiaggia che il mare bagna. Per andare a prendere con gli amici un caffè al bar. E ridere. E scherzare. Che hai fatto, Antonio? Che hai combinato? Perché non ti ho incontrato ieri? Quella strada la faccio tante volte. Perché non sono passato di là? Perché non ti sei confidato con qualcuno? Perché non hai permesso a qualche anima buona di disarmanti? Perché, Antonio? Perché? Caino si chiamava chi per la prima volta uccise. Ma la voce di quel sangue ancora non si è spenta. Abele ancora piange. Ancora geme Abele. Chiunque versa il sangue di Abele porta il nome.

Addio, Marco. Addio, Claudio. Riposate, carissimi fratelli, sul cuore di Gesù crocifisso e risorto. Ai vostri cari un abbraccio grande quanto il sole. Arrivederci, Antonio. Adesso tocca a noi ridare forza e fiducia ai giovani, a quelli che credono che il male sia più forte del bene, alla nostra gente terrorizzata. Ci riusciremo? Spero di sì. Dobbiamo stringerci insieme. Fare una catena di amore. Piantare semi di speranza e di pace sul terreno arido della violenza. Forse ci incontreremo, chissà. Non chiudiamo le porte alla Provvidenza.

Adesso è il momento delle lacrime. Abbiamo bisogno di piangere. Spero che lo faccia anche tu. Piangere e pregare. Piangere e sperare. Piangere e resistere. Piangere e consolare coloro che in queste ore nel dolore stanno annegando. Il Signore abbia pietà di te, Antonio. E di tutti noi ogni qualvolta smettiamo di essere uomini e cediamo il passo alla violenza.

Padre Maurizio Patriciello.

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