In ricordo di Pompilio Sullo a dieci anni dalla morte

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Dieci anni fa, il 23 novembre in una giornata uggiosa autunnale del 2013 Pompilio Sullo lasciava la vita. Lo fece con una grande compostezza e discrezione.

Volle per sé funerali laici, a cui io, imperdonabilmente, mancai.

Pompilio è stato un intellettuale di primo ordine, di grandissima e profonda erudizione, ma mai elitario, sempre aperto al confronto e a interrogarsi sul presente.

Fu docente, dirigente scolastico e alto funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione.

Il candidati del PCI di Caivano nel 1985. Sullo è al n.36

Ci conoscemmo a ridosso del ’68, quando sotto la sua spinta demmo vita a un movimento giovanile che fu uno dei primi tentativi di ricostruire dal basso un organismo che rappresentasse la società civile.

C’era la guerra in Vietnam, della rivolta in Cecoslovacchia e la repressione operata dai carri armati russi. Erano anni febbrili. Le università americane erano in tumulto, a Parigi gli studenti avevano alzato barricate nel quartiere latino.

A quel tempo eravamo tutti impegnati a decifrare i meccanismi che erano alla base delle condizioni sociali e materiali che vivevano vastissimi strati della società italiana. Si leggeva molto nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche e negli oratori.

Io e Pompilio, spessissimo ci siamo confrontati, sulle opere di Gramsci e sul concetto di egemonia. Pompilio pensava che ogni rivolgimento sociale dovesse essere preceduto da un consenso guadagnato all’interno della società civile.

Io, invece, interpretavo l’egemonia gramsciana come concreta e materiale conquista del potere, così come si era manifestata nel biennio rosso 1919-21 con gli operai in armi che avevano occupato gran parte degli impianti industriali del nord.

Questa divaricazione di opinioni comportò che Pompilio rimase nel P.C.I. anche in posizione fortemente critica, mentre io iniziavo la mia militanza nella sinistra rivoluzionaria. Questa diversità di posizioni non impedì che coltivassimo un costante confronto, che poi si interruppe perché per lunghi anni lui prese a insegnare in Sardegna.

Ci incontrammo episodicamente a metà degli anni 70 per poi perderci di vista completamente in quei tumultuosi anni. Ci ritrovammo nei plumbei anni 80 e riallacciammo un rapporto che non si era mai interrotto.

Quando divenne assessore alla Pubblica Istruzione al comune di Caivano, io collaborai con lui condividendo progettualità e programmi.

Ricordo ancora nitidamente quando mi chiese di dotare ogni scuola dell’opera completa di Raffaele Viviani. All’epoca non compresi la valenza della sua richiesta, col tempo ho capito che la figura di Viviani era un modello di riscatto sociale.

Viviani nato povero autodidatta, attraverso le sue opere diede voce ai sentimenti, alle passioni e alle ingiustizie dell’umile plebe napoletana.

Pompilio è stato fondamentalmente un educatore, un pedagogo convinto che la cultura, lo studio e l’apprendimento fossero strumenti indispensabili per l’emancipazione sociale delle classi subalterne.

Pompilio non è stato un intellettuale altezzoso elitario, rinchiuso in una torre d’avorio. Amava stare tra la gente, farsi partecipe delle loro speranze e delusioni.

La sua immatura scomparsa rappresenta una perdita irrimediabile per un paese ripiegato su sè stesso, incapace di ribellarsi.

Chissà cosa direbbe e scriverebbe Pompilio della Caivano di oggi!

Quello che è certo, se fosse ancora tra noi, sicuramente avrebbe indicato una strada per tirarci fuori dalle fosche nebbie del presente.

Il mio più grande rammarico è di non aver saputo adeguatamente e incisivamente coltivato il suo visionario progetto di fare di Caivano una città inclusiva per i bambini. Era il suo grande sogno inattuato. Aveva percepito, in anticipo, che se non si fosse intervenuti per tempo sull’infanzia avremmo avuto una gioventù completamente disorientata, priva di riferimenti ideali e quindi esposta a mille suggestioni.

Questo è il lascito di Pompilio Sullo.

Spero che la classe politica che verrà possa riprendere quel disegno e attuarlo e tradurlo in azioni concrete. Spero anche che si possa, in un prossimo futuro, trovare spazio nella toponomastica locale per dedicagli una strada, una piazza e intitolargli la biblioteca di Pascarola, dove ho custodito per anni una parte dei suoi innumerevoli libri fatti dono dalla famiglia.

Quei libri erano preziosi perché testimoniavano l’importante percorso intellettuale.

Sono andati dispersi e distrutti, insieme a tutta la biblioteca di Pascarola per una dissennata gestione della struttura. A me resta un libro che mi regalò Pompilio sulla vita e le opre di R. Luxemburg, rivoluzionaria tedesca, fondatrice del partito Spartachista in Germania.

Entrambi ammiravamo una donna, una rivoluzionaria brutalmente assassinata.

Conservo quel libro in ricordo di Pompilio. Uno dei pochi, veri, intellettuali figli di Caivano.

Alla sua memoria. – Vito Coppola

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