“La fede ti cambia la vita”, intervista al sacerdote Don Antonio Natale

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Un percorso che ha segnato la vita del giovane sacerdote, Don Antonio Natale, che da pochi mesi sta dando prova a se stesso e alla sua comunità, di quanto possa cambiare la prospettiva di vita di una persona, quando c’è fede.

Quando è nato il suo percorso di fede che poi l’ha condotta a scegliere la strada del sacerdozio?

Sono Antonio Natale, ho 28 anni e sono di Caivano. Il 5 giugno 2021 nella cattedrale di Aversa per le mani del Vescovo sono nato come sacerdote, dopo un lungo itinerario formativo di circa 8 anni (al seminario di Aversa, prima, e al Seminario Maggiore di Posillipo, poi). Tuttavia, il mio cammino è iniziato molto tempo prima, nella parrocchia Sant’Antonio ai Cappuccini dove fin dalla tenere età ho mosso i primi passi affascinato dalla bellezza di vivere la fede in Gesù tra tanti fratelli e sorelle.

Diversi eventi forti della vita hanno portato a chiedermi: “Cosa faccio di questa vita che il Signore mi ha donato?”, “In che modo essa può avere fioritura piena?”. Ognuno prima o poi dovrebbe porsi queste domande nella vita, ma a volte è la vita stessa che ce le mette di fronte. Da lì è iniziato un cammino di discernimento nel quale sono stato accompagnato da don Antonio Corvino, strumento non secondario nelle mani della provvidenza per l’inizio del mio percorso verso il sacerdozio.

Come si sente in questa nuova missione?

Sento tutta la gioia e la responsabilità per un dono immeritato. Non si è mai pronti a diventare sacerdoti. Per tutto quello che questo comporta. Ma il non sentirsi pronti è una nota positiva perché ci rende più umili e in grado di riconoscere che quello che siamo è opera della grazia del Signore. La sera dell’ordinazione è stato nient’altro che l’incontro tra la miseria e la misericordia, da un lato la povertà della mia persona, dall’altro la misericordia di Dio che senza alcun merito mi ha chiamato nel numero dei suoi ministri.

Il rapporto con la comunità dei fedeli di Caivano, come lo vive?

Caivano è la comunità nella quale sono cresciuto. Se ci sono ancora vocazioni al sacerdozio, ma anche vocazioni ad altre forme di vita vuol dire che il Signore ancora non si è “stancato” di noi. La nostra è una città con un grande potenziale umano. Ho vissuto da sempre nel quartiere che sorge intorno alla chiesa di Cappuccini, denominato delle “fraveche nove”. Un quartiere in cui si viveva abbastanza bene ma che nel giro di pochi anni è stato colpito da un crescente degrado.

Credo che a Caivano abbiamo bisogno di bellezza. La bellezza ci educa. Vivere nel brutto ci rende brutti, e purtroppo facilmente ci si adegua al peggio.

Il ruolo della Chiesa nella società attuale, qual è, secondo lei?

La chiesa nell’attuale momento storico ha due compiti fondamentali: essere sacramento di consolazione e faro di speranza. La nostra gente è afflitta da tanti problemi, da noi sacerdoti cerca una parola di consolazione, olio di letizia, balsamo per le tante ferite.

E se sorgono intorno a noi tanti profeti di sventura, noi dobbiamo annunciare i cieli nuovi e la terra nuova che attendiamo. A Caivano tutto questo è ancora più difficile perché l’individualismo in alcuni contesti ha indebolito lo spirito comunitario elemento fondamentale perché la fede sia vissuta in pienezza.

Progetti pastorali futuri?

Da sei anni svolgo il mio servizio pastorale a Succivo, un piccolo paese del casertano. La sera dell’ordinazione, nelle mani del Vescovo, ho promesso filiale obbedienza, da lui attendo novità sul cammino futuro.

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