Ho seguito con molto interesse la parte della trasmissione ‘Di Martedì’ di Floris del 9 marzo, allor quando il giornalista ha intervistato i neuro psichiatri Ardizzone e Rizzato sugli effetti della chiusura delle scuole, che mi ha offerto notevoli spunti di riflessione.
Già l’anno scorso con lo scritto ‘Le scuole chiuse sono una ferita per tutti noi’ commentai, proprio su questo Blog, le parole del presidente della Repubblica ed auspicai che, al più presto, ‘Potessero risuonare dell’allegro vociare dei giovani quei luoghi che ora appaiono tristi e vuoti’.
A distanza di un anno le cose non sono affatto cambiate, anzi si sono aggravate, per il comparire di varianti, particolarmente contagiose per i giovani.
Non voglio qui assolutamente discutere dei criteri di scelta del governo centrale e soprattutto dei governatori, alcuni dei quali particolarmente zelanti nel deliberare la chiusura di tutte le scuole.
Voglio solo esprimere, come donna che ha fatto della scuola la bandiera della sua vita e che ha amato svisceratamente i giovani, la mia comprensione, il mio rammarico, la mia angoscia per intere generazioni di giovani, cui questa maledetta pandemia sta rubando la fanciullezza e soprattutto l’adolescenza, l’età più bella e più importante della vita, con tutte le opportunità umane, formative, culturali, sociali, ad essa connesse.
Non a caso i due neuropsichiatri, intervistati dal giornalista Floris, si soffermavano sull’aumento, in questo periodo, di patologie di carattere neurologico, come: indifferenza, abulia, demotivazione, ritardo nello sviluppo psichico, aggressività.
La stessa didattica a distanza tanto ‘osannata’, spesso non è efficace per vari motivi:
- Non tutte le scuole sono completamente attrezzate per tale attività;
- Non tutti i docenti sono all’altezza di tale compito;
- I ragazzi spesso perdono la loro concentrazione;
- I meno abbienti ne restano quasi completamente esclusi, perché non dispongono di spazi idonei e di attrezzature adeguate (si pensi all’angustia delle abitazioni, in cui sono costretti a vivere più studenti).
Ma ammettiamo pure l’efficacia di tale sistema di insegnamento-apprendimento, si tratta sempre e solo dell’aspetto didattico: e l’integrazione, la socializzazione, l’empatia?
Come può l’insegnante (insegnante è colui che lascia il segno), attraverso un video, penetrare nell’intimo di un ragazzo, leggere, attraverso gli occhi dei suoi alunni, una gioia o un’inquietudine interiore?
Come possono i ragazzi scambiarsi sguardi complici ed ammiccanti, stabilendo rapporti autentici di empatia, amicizia, condivisione, fondamentali per la loro crescita umana, sociale e civile e per una corretta integrazione?
Poveri ragazzi!!!
Dopo un primo momento di euforia, molti soffrono di questa situazione: un giovane studente del liceo mi confessava, amareggiato, qualche giorno fa ‘Mi manca tutto della scuola in presenza, anche l’ansia del compito di matematica, che, nei tempi felici, mi pareva insopportabile’.
A questo punto si impone una riflessione per tutti.
Penso:
- Al governo, perché, oltre alla chiusura, velocizzi al massimo le operazioni di vaccinazione;
- Ai dirigenti scolastici, sui quali sono ricaduti il peso e le responsabilità maggiori, molti dei quali, quando possono, corrono verso la pensione;
- Ai docenti; i migliori di questi si sentono anch’essi frustrati ed insoddisfatti della didattica a distanza;
- Ai genitori, che, spesso afflitti anche da difficoltà economiche, non riescono a comprendere e seguire adeguatamente ragazzi annoiati, spenti, aggressivi.
E’ una situazione veramente terribile e densa di angoscia!
Ma è proprio in momenti come questi che non dobbiamo abbatterci ed essere resilienti.
Voglio perciò dire una parola di speranza e rievocare un passato che sembra lontano anni luce dai tempi attuali.
Ho ormai ottan’anni: figlia di agricoltori, da piccola, non avevo ancora dieci anni, alla fine degli anni quaranta e nei primi anni cinquanta, nelle fredde mattine di novembre e di dicembre vedevo frotte di ragazzini miei coetanei, che, invece di andare a scuola, venivano portati nei campi ‘ Accucchia’ e patane’, a raccogliere le patate, scavate dai braccianti adulti, e lavoravano un’intera giornata per pochi spiccioli.
La raccolta di patate era più adatta ai piccoli, che più agevolmente si curvavano a terra e il cui lavoro, peraltro, costava di meno.
Alla vista di tale spettacolo mi si stringeva il cuore e pensavo a quanto ero più fortunata io che potevo andare a scuola!
Memore di tutto ciò, salutai con soddisfazione l’istituzione, nei primi anni sessanta, della scuola media obbligatoria, e successivamente del biennio obbligatorio della secondaria superiore, che garantivano maggiore giustizia ed uguaglianza.
Usciremo anche da questo periodo terribile, impegniamoci tutti con abnegazione, coraggio, spirito di servizio, per il bene di questi ragazzi, che sono il tesoro più grande e l’investimento più prezioso per la società e per il futuro dell’Italia.
La Caivano che verrà
Mi sia consentita, infine, una benevola raccomandazione al sindaco e all’amministrazione di Caivano.
Circa vent’anni fa, con sforzi sovrumani ed impegno incessante, il sindaco lo ricorderà bene (era assessore), inaugurammo l’auditorium, il centro sportivo (nonostante i continui ricorsi di una società sportiva di un paese vicino, caldeggiati, peraltro, da un famoso avversario politico locale); recuperammo 400 milioni delle vecchie lire per il campo sportivo E. Faraone (ricordo ancora il volto infastidito e quasi ostile del funzionario regionale, a cui chiesi con insistenza i fondi che giacevano inutilizzati presso la Regione già da qualche anno).
Inaugurammo a marzo del 2000 la scuola Mameli e l’istituto polifunzionale di Pascarola; ponemmo le basi definitive per la costruzione del meraviglioso edificio della ‘Milani’ e per la scuola primaria di via Settembrini, realizzati nei due anni successivi.
Queste opere, certamente vantaggiose per tutti, miravano, principalmente alla formazione, all’integrazione, all’armonico sviluppo psico-fisico dei nostri ragazzi.
A distanza di venti anni pare che uno tsunami si sia abbattuto su Caivano!
- L’antica e gloriosa Boys Caivanese deve chiedere ospitalità allo stadio ‘Vittorio Papa’ di Cardito per disputare le sue gare. Il campo Faraone è, infatti, completamente distrutto;
- Il centro sportivo, la cui inaugurazione del settembre ’99 attirò centinaia di persone ammirate ed entusiaste, è stato completamente vandalizzato;
- L’auditorium, inaugurato nel dicembre del ’98 con un applauditissimo concerto Gospel è del tutto inattivo;
- L’edifico scolastico di via Lanna, che ospitava la scuola primaria del II circolo e parte del Liceo Braucci, istituito nel ’99 ed inaugurato il 6 ottobre di quello stesso anno come succursale del Brunelleschi di Afragola e successivamente diventato autonomo, è un cumulo di macerie.
- E’ possibile che la nostra Caivano sia sprofondata tanto in venti anni?
- Fino a quando le stelle staranno a guardare?
Ho appreso, con piacere, del fondo di 2.945.000 €, già assegnato a Caivano dal Ministero dell’Interno.
E’ dell’ultima ora la notizia che è stato ritenuto ammissibile dalla Città Metropolitana il progetto del comune di Caivano, finalizzato alla rigenerazione di ambiti urbani, particolarmente degradati e carenti di servizi.
Tutto lascia ben sperare nella possibilità di riqualificazione del tessuto urbano e di recupero di strutture atte a favorire una migliore qualità della vita del nostro martoriato territorio.
Diamoci da fare!
Abbiamo tanta voglia di riscatto, soprattutto per i nostri giovani!
Il video della puntata della trasmissione ‘Di Martedì’
Mia carissima Preside, sono fiera di aver fatto parte anch’io degli anni d’oro di Caivano. Rammento ancora quando, appena ragazza, arrivai alla Milani con tanta voglia di fare, di costruire, di imparare. Con lei alla guida, sono riuscita a tracciare nitide le coordinate della mia modesta carriera. Ricordo con dolce malinconia il tempo in cui insieme inaugurammo la scuola Don Milani…e da lì, fu tutta una scalata verso meravigliose soddisfazioni. La scuola, quella “nostra”, quella del “tutti per uno, uno per tutti”, era un nido di unione, aggregazione, fratellanza. Noi tutti eravamo sempre in prima linea a combattere le disuguaglianze sociali, a batterci quotidianamente per la migliore riuscita dei cari ragazzi. In questo periodo dove ogni certezza sembra sgretolarsi, ancor più nostalgico è il ricordo della nostra bella scuola, una seconda famiglia per ciascuno, ove la maestra era un po’ una seconda mamma. Che fantastici tempi quelli in cui si potevano vivere gli alunni a 360gradj, potevamo abbracciarli, contraccambiare il loro tenero affetto, festeggiare i loro compleanni, e soprattutto potevamo leggere dal vivace sguardo i loro desideri, le loro esigenze. Questa pandemia ha finito per penalizzare i più giovani, quelli che più degli altri hanno visto assopire i loro diritti insieme all’entusiasmo del fare. E come lei magistralmente asserisce, la DAD è uno strumento ostico e ostile, che si inserisce in un freddo quadro asettico e privo di contatto umano. Altrettanto vero è che, anche in presenza, è stato traumatico per noi docenti non poter scorgere dietro quella insidiosa mascherina quel candido sorriso dei bimbi. Ebbene sì, questo critico scorcio di esistenza è destinato a rimanere per sempre impresso nei nostri cuori… non ci resta che auspicare fortemente che presto questo rimanga solo un doloroso ricordo della memoria.
Cara Prof, condivido pienamente le sue riflessioni sulle problematiche della didattica a distanza.
Al sud ed in particolare nei paesi in piena decadenza come Caivano, i giovani non hanno altri stimoli e la scuola svolge un ruolo fondamentale nella loro vita, essa è il centro delle loro relazioni sociali e della loro crescita intellettiva ed umana.
Mediante la DaD è possibile esclusivamente trasmettere nozioni ma la conoscenza è tutt’altro, è qualcosa che viene dal profondo, dalla ricerca, dall’esperire, dall’errore… la conoscenza è quella che Lei è stata capace di infondere nei suoi studenti, è curiosità, storia antica, fatta di scambi reciproci ,di luoghi da vivere e condividere.
L’insegnante , colui che lascia il segno,lo fa in un periodo nel quale una persona sta costruendo non solo il suo bagaglio di nozioni ma la struttura del proprio pensiero, il suo “sentire” per questo deve sentirsi immensamente responsabile.
Lei Prof, con la sua storia ha dimostrato che così come il medico anche l’ insegnante rimane insegnante per tutta la vita.
Il suo amore sviscerato per i giovani la tiene al riparo dall’ invecchiamento.
Mi unisco infine al suo appello rivolto alle istutuzioni con un solo grido “Fate presto!”