Ricorre quest’anno il centenario della nascita dell’Aeronautica Militare Italiana, istituita come “Regia Aeronautica” con regio decreto del 28 marzo 1923. Per l’occasione si svolgerà, il prossimo 28 marzo, un “open day” nelle basi aeronautiche. In tale ambito vogliamo ricordare uno degli eventi che condussero a tale istituzione e che si inserisce nell’ampio quadro della Prima Guerra Mondiale: il primo bombardamento aereo subito dalla città di Napoli e le conseguenze che ne scaturirono.
A scrivere Francesco Fortunato, ingegnere aeronautico, lavora in una grande azienda automobilistica come specialista di simulazioni fluidodinamiche, è da sempre appassionato di storia dell’aeronautica e gestisce il blog di “storia dell’aeronautica meridionale”: www.fremmauno.com
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale la città di Napoli è stata oggetto di oltre cento bombardamenti, molti del tipo “a tappeto”, risultando la più colpita di tutte le città italiane. Ancora oggi è vivo, nella memoria dei nostri nonni, il ricordo degli allarmi aerei, delle corse verso i rifugi, del terrore in attesa che scoppi e rombi terminassero, della scoperta successiva dei danni e delle vittime ed anche della sensazione che la città potesse non risollevarsi da un simile “trattamento”. Immagini che purtroppo rivediamo, “a colori”, nelle tragiche cronache dell’aggressione russa all’Ucraina.
È meno noto però che Napoli subì un triste “anticipo” di questa disgrazia oltre vent’anni prima, nel corso della Grande Guerra. Esattamente 95 anni fa, l’11 marzo 1918, all’una del mattino, Napoli subiva il suo primo bombardamento aereo, ad opera del più grande dei dirigibili Zeppelin della marina tedesca, denominato L 59. La “Grande Guerra” era ancora nel pieno, gli “imperi centrali” tedesco e austro-ungarico subivano una pesante pressione su più fronti e dovevano fronteggiare crescenti carenze di risorse e uomini ma l’esito del sanguinoso conflitto sembrava ancora incerto.
L’enorme aeronave, di tipo rigido, era lunga 226.5 m (circa due campi da calcio), riempita con 68500 m3 di idrogeno, spinta da cinque motori a benzina Maybach da 240 CV e trasportava ben 6400 kg di bombe. Il dirigibile era alla sua prima missione di bombardamento, dopo un infruttuoso tentativo di rifornire le truppe coloniali tedesche in Africa meridionale. Partendo dalla sua base di Jambol, in Bulgaria (allora parte dell’Impero Austro Ungarico), si era avvicinata alla città mantenendo una quota di 4800 m. Aveva sfruttato il buio e ridotto al minimo i motori per non essere avvistata. Si presentò nel cielo di Napoli quando tutti dormivano: nessun allarme era scattato e l’aggressione era del tutto inattesa. Gli obiettivi erano il porto ed altre strutture industriali, in particolare l’acciaieria ILVA di Bagnoli e le industrie Armstrong di Pozzuoli, dove si fabbricavano cannoni, ma, come dichiarato da “Il Mattino” il giorno dopo, il puntamento fu del tutto sbagliato e gran parte delle bombe caddero su obiettivi civili, in particolare nelle zone dei Granili, Quartieri Spagnoli, Piazza Municipio e Posillipo, provocando ben 16 morti e 30 feriti. Dopo l’attacco lo Zeppelin riuscì ad allontanarsi indisturbato.
Il 13 marzo si tenne una toccante cerimonia di onoranze funebri per i caduti, all’Ospedale Pellegrini, a cui partecipò una gran folla di persone. Il corteo attraversò la Pignasecca e proseguì per via Toledo fino al Museo, con grande e sentita partecipazione popolare: la folla, ai due lati della strada, gettava fiori sui carri.
Suscitò forte dibattito il fatto che il grande dirigibile non fosse stato intercettato. Il 13 marzo il quotidiano Il Messaggero avvisava di “Comandanti puniti”, ovvero: “D’accordo con il Ministero della guerra e il Commissariato generale per l’aeronautica sono stati telegraficamente esonerati dal rispettivo incarico i comandanti della difesa antiaerea di Napoli, Foggia e Termoli, per la deficiente azione spiegata in occasione della recente incursione aerea nemica su Napoli”. Risultò che il dirigibile era stato visto, quando raggiunse la costa adriatica, ma la segnalazione non aveva avuto alcun seguito.
In effetti, la possibilità di un simile attacco non era stata presa in considerazione dai comandi e, lontano dal fronte, non esisteva un vero sistema di difesa aerea. Fu attivata una sottoscrizione popolare, guidata dal Banco di Napoli, che riuscì a fornire alla città una dotazione di due caccia, basati a Capodichino a partire dal 28 luglio 1918 che, dalla fotografia disponibile, sembrerebbero di tipo SVA. Si affiancarono ad alcuni ricognitori che già operavano da quel campo e destinati principalmente a garantire la sicurezza del traffico navale. Provvedimento ormai inutile dal momento che non si verificarono altre aggressioni analoghe – peraltro assai costose e complesse da organizzare – e la guerra si avviava finalmente alla conclusione.
L’uso del dirigibile come mezzo di bombardamento non era nuovo nella Prima Guerra Mondiale: Londra subì numerosi attacchi aerei fin dal 1914, in uno sforzo dell’esercito e marina tedesche di fiaccare il morale della popolazione britannica, sforzo che risultò estremamente costoso e scarsamente fruttuoso. Tra le altre forze armate, quella italiana ricorse regolarmente a questo tipo di mezzi, per la ricognizione e il bombardamento, seppure con minore impegno di risorse rispetto alla Germania.
In Italia l’attacco su Napoli fece scalpore. A Roma i cannoni spararono a salve, nelle prime ore del mattino, per il timore di un attacco coordinato che coinvolgesse anche la capitale. Le autorità dovettero tranquillizzare ovunque la popolazione che non si era all’inizio di un’estesa campagna di attacchi alle popolazioni civili.
Quella notte qualcuno scambiò perfino le esplosioni per una rivolta popolare, poi, per vari giorni, si pensò ad una squadriglia di aerei e non a un dirigibile, forse perché gli austriaci, il nostro nemico diretto al fronte, non ne disponevano.
Il 12 marzo 1918 comparve su Il Mattino, un articolo intitolato “Un dirigibile nemico lancia bombe su Napoli” in cui si leggevano i dettagli dell’incursione, che non aveva arrecato alcun danno di carattere militare ma vittime nella popolazione civile.
Perché proprio Napoli? Fu una delle domande ripetute con più insistenza. Incerta la risposta. Il capoluogo partenopeo era la città più popolosa d’Italia e anche un importante centro marittimo e industriale. Era lontana dal fronte, per cui gli attaccanti potevano contare sull’effetto sorpresa. Inoltre, il Vesuvio, con il suo pennacchio allora attivo, era un punto di riferimento certo anche nelle notti senza luna, per chi arrivava dall’aria.
Il dirigibile L-59 non ebbe una sorte fausta: meno di un mese dopo esplose sul Mediterraneo al largo di Malta, in circostanze mai chiarite.