Morto Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova Camorra organizzata

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La vita di un boss si spegne in isolamento, è ciò che è accaduto a Raffaele Cutolo, che all’età di 79 anni, è deceduto in regime di carcere duro, a Parma. Condannato a 13 ergastoli. L’unico caso in Italia con più di 40 anni in carcere, gli ultimi in regime di 41 bis.

Cutolo è noto per essere il fondatore della Nuova Camorra Organizzata, una delle più grandi organizzazioni camorristiche che ha cambiato la storia di un’intera nazione. Custodiva segreti importanti. In una sua intervista sostenne: “Potevo salvare Moro, ma mi fermarono” riferendosi all’omicidio di Aldo Moro, avvenuto nel 9 maggio 1978.

Il boss è stato più volte coinvolto in trattative con i vertici dello Stato, con Democrazia Cristiana, celebre il caso dell’assessore regionale Ciro Cirillo che fu rapito ad aprile del 1981, e liberato a luglio dello stesso anno, solo dopo la mediazione dello stesso con le Brigate rosse.

“o’ Professore”

Si definiva il “Vangelo”, amava rapportarsi alla stampa per spiegare la filosofia della vita di un camorrista, raccontando però pochi segreti, il resto preferiva tenerselo per sé. Uomo arguto e spigliato, in carcere era chiamato “o’ Professore” e proprio così venne appellato anche nel film a lui ispirato, a sua volta ripreso dal libro “Il Camorrista” del giornalista Giuseppe Marrazzo. La pellicola omonima di Giuseppe Tornatore è stata resa celebre in tutto il mondo, tale da aver contribuito a dare, dopo anni, anche un premio Oscar al regista.

La sua esistenza è stata costellata da eventi traumatici che lo hanno condizionato fin dalla sua giovane età.

Il rapporto con le donne

Pochi sanno che ciò che spingeva l’uomo ad essere restio ad una collaborazione con la giustizia era il rapporto con le sue donne, ovvero la sorella Rosetta Cutolo che per difenderla compì il suo primo omicidio a 22 anni, e la moglie Immacolata Iacone, dalla quale ha avuto una figlia, solo grazie all’inseminazione artificiale: Denise, una ragazza che ha dovuto subire le scelte di un padre, che da tutti è sempre stato visto come un mostro.

Si legge dal libro “Nuova Camorra Organizzata: la vera storia dei cutoliani” (a cura di Simone Di Meo, Vittorio Falco e testi di Enza Angela Massaro, Viviana Lanza, Giancarlo Tommasone, Simona Ciniglio) a pagina 127:

Raffaele Cutolo più volte si è sentito lacerato nel suo orgoglio, quando è stato chiamato “criminale”, “boss” o “camorrista”. Tanto da rispondere: «Allo Stato servo così. Pensano che sia ancora legato alla camorra. Ma quale camorra? Pagina chiusa dal 1983, quando ho sposato Tina nel carcere dell’Asinara. Pago e pagherò fino alla fine. Ma non sono un pericolo. Sarei pericoloso, se parlassi, ma non ce l’hanno fatta a farmi diventare un jukebox a gettone. Il pentito va a gettone. Parla e guadagna. Un ulteriore oltraggio alla memoria delle vittime. Ho una telecamera puntata sul gabinetto. Non posso avere in cella più di tre paia di calzini e mutande. Vorrei mi spiegassero il senso…»

Il Castello di Ottaviano

Ancora, a pagina 15, si legge del rapporto di devozione che gli affiliati della Nco avevano con il boss:

“Per entrare a far parte della Nco, si legge negli atti del giudice istruttore, esiste una ‘pseudo cerimonia di affiliazione’, imposta dal fanatismo del capo e dai suoi più stretti seguaci, afflitti tutti da un sanguinario e scellerato sogno di ripristino della ‘Bella società riformata’ di scorticellania memoria. Spulciando gli atti investigativi e le testimonianze dell’epoca, emerge chiaramente che la filosofia camorristica cutoliana si avvale non solo di una terminologia vagamente esoterica ma anche di una modalità operativa quasi liturgica. Il quartier generale della Nco è a Ottaviano, il paese in cui è nato il ‘Sommo’. Ma non si trova in un appartamento qualunque, neppure in un anonimo edificio. Bensì nel Castello mediceo che svetta su un piccolo promontorio, dominando l’intera cittadina”.

“L’ idea della dimenticanza non mi dispiace, vorrei solo che questo avvenisse nel rispetto della dignità dell’uomo”

(Raffaele cutolo)

Queste le sue parole, prima di chiudersi in un silenzio che lo ha accompagnato per qualche anno nella sua degenza, fino alla fine dei suoi giorni. Era malato da tempo, sapeva che non avrebbe mai svelato i suoi segreti, forse per mantenere gli equilibri o semplicemente per una questione di onore.

Gli ultimi anni

Un anno fa aveva cercato, invano, di avere il rinvio dell’esecuzione della pena, con detenzione domiciliare, ma il tribunale di Sorveglianza di Bologna si era limitato a ritenere le sue condizioni di salute compatibili con il carcere. I giudici avevano aggiunto che, pur anziano, malato e in cella, Cutolo fosse ancora un simbolo della camorra e quindi un pericolo.

Tante le accuse, tanti gli omicidi, da meritarsi l’appellativo del boss per eccellenza, anni di vita a sabotare sistemi, a muovere le redini della criminalità organizzata, persino quando era in cella. Lo hanno sempre temuto tutti, dalle persone comuni ai magistrati, dai peggiori criminali ai suoi stessi familiari, da malato ed anziano, e forse anche oggi che non c’è più, Cutolo susciterà sempre un po’ di inquietudine, solo a proferire il suo nome.

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